• «Senza riguardo per il fascino del suo fiore che scintilla fra cespugli come una stella in una seta preziosa, impregnato di un aroma fine e discreto, né per la grazia robusta del suo frutto, armoniosamente contornato e rivestito da una scintillante corazza di corallo, i botanici greci, così sensibili alle bellezze della natura, non hanno trovato per designare questa pianta altro termine che quello di kunorrodon la cui traduzione latina è rosa canina.» Così scrive Leclerc, famoso medico fitoterapeuta francese, a proposito del nome attribuito alla pianta ritenendo tra l’altro che tale appellativo alluda alle virtù terapeutiche della pianta: gli antichi la consideravano uno specifico contro i morsi dei cani affetti da rabbia. Le spine dell’arbusto, infatti, erano paragonate alle zanne affilate di un cane ed era pertanto logico, seguendo la teoria della Signatura stabilire una relazione tra il graffio provocato dalla pianta e i morsi di un cane, per cui la prima guariva la seconda. Secondo tale teoria, per inciso, le malattie di una qualsiasi parte del corpo potevano essere curate con una pianta che di quella parte riproponeva la forma. Più irrispettoso il nome popolare francese gratte – cul che ritengo non necessiti di traduzione (!), ma che rispecchia l’aspetto del frutto il cui ricettacolo è ricoperto da peli.
• I Persiani tenevano in gran conto la R. canina che, a loro avviso, oltre a dissolvere i calcoli, a diminuire le mestruazioni troppo abbondanti, serviva a risvegliare i morti…
• Con i frutti, privati dei peli, si prepara un decotto di colore rosso e di odore vanigliato, che si consuma come tè e ha azione leggermente sedativa.